Siria: le speranze interrotte dei bambini
Un cielo terso di nuvole e un bambino con lo zainetto sulle spalle, mano nella mano di suo padre, aspetta di attraversare la strada per andare a scuola. Improvvisamente alza lo sguardo verso l’alto e indica un aereo. “Che bello papà! Chissà dove andremo quest’anno per le vacanze? Prendiamo l’aereo?”. Un sorriso, una vita piena di speranza, un futuro di sogni da costruire. Sta accadendo qui, ora, in una qualunque delle nostre città, ad uno qualunque dei nostri bambini.
A poco più di tremila chilometri da casa nostra, il cielo ha un altro colore, gli aerei un altro suono, il futuro e i sogni sono scomparsi. Succede ora, in Siria, in uno scantinato di un palazzo devastato dalla guerra, dove i bambini sono nascosti da giorni cercando di salvarsi dalle bombe, dai cecchini, dalla fame, dalle malattie, dal presente. Eppure sette anni fa anche lì i bambini guardavano il cielo, gli aerei, e pensavano a dove li avrebbe portati, a quali incredibili luoghi avrebbero potuto visitare grazie a quelle ali. Oggi quel suono significa bombe, significa morte.
Sono fotogrammi. Sono storie di ordinaria disperazione, che da anni vengono denunciate da Save the Children e dalle tante organizzazioni internazionali che lavorano in Siria, dove ormai tutto è morte, niente è futuro, non c’è più speranza, non c’è più infanzia. Ci sono bambini che non hanno mai conosciuto la pace, che non sanno cosa sia uno zainetto per andare a scuola, perché una scuola non ce l’hanno più, distrutta dalle bombe. E non possono tenere per mano un padre, perché glielo ha portato via lo sparo di un cecchino.
In questo momento nel Ghouta, una delle tante zone assediate della Siria, in una scuola arrangiata sotto terra, dei bambini stanno disegnando elefanti volanti che cadono a terra distruggendo ogni cosa. Perché per un bambino siriano, il verso di un elefante non fa sognare avventure o viaggi in luoghi lontani ma evoca il suono dei razzi che distruggono case, scuole, ospedali, che uccidono e radono al suolo ogni cosa. E allora quando sentono quel verso chiudono gli occhi e, terrorizzati, aspettano che l’elefante se ne vada, che torni il silenzio.
E nel vedere le immagini di una bambina col pigiamino rosa e le ciabattine che viene salvata da un palazzo appena colpito da un bombardamento, colgo il simbolo della normalità che viene sconvolta nelle sue più normali abitudini. Neanche nel sonno un bambino può più permettersi di sognare, perché le bombe arrivano anche lì a riportare alla realtà della guerra.
Dopo 2.557 giorni di guerra, questo è quello che resta della Siria e di una generazione perduta di bambini che non hanno mai guardato al cielo senza paura. Sette anni di bombe e di orrore, che hanno trasformato tutto ciò che fa parte dell’infanzia, un pigiamino, il sogno di volare, i versi degli animali, in una lenta attesa della morte. E anche se sta accadendo lontano da qui, non possiamo continuare a far finta che non stia accadendo, ora. Ecco perché tutti noi abbiamo un unico imperativo: Save the Children, salviamo i bambini, in Siria e in tutte le terre martoriate dai conflitti.