Le voci dei volontari: una giornata con i bambini siriani alla stazione di Milano
Oggi vorrei farvi conoscere Nicolò, un ragazzo di 22 anni, che da due anni è volontario Save the Children a Milano. Nicolò ha partecipato a tante delle nostre attività di sensibilizzazione e inoltre è uno dei volontari di Save the Children che ha dato il suo contributo nelle attività ludiche per i bambini siriani che transitavano nel mezzanino della stazione centrale di Milano. Queste parole sono le sue emozioni e sensazioni durante quell’esperienza.
Ciao, sono Nicolò e avrei dovuto scrivere questo articolo 5 mesi fa. Il tempo certo non mi è mancato, però ci riesco solo ora. Come mai? Sono dovuto tornare qui in stazione per capirlo: avevo paura. Ho appiattito un ricordo e l'ho nascosto, per paura che potesse essere reale.
Il punto è che non sempre è facile continuare la propria vita in tranquillità, quando certi ricordi sono reali. Anche fare colazione è difficile. Ricordo bene il nervosismo del primo giorno al mezzanino: l'idea di non avere le competenze necessarie mi terrorizzava. In famiglia sono cresciuto giocando e facendo divertire fratelli molto più piccoli: questo ha fatto di me agli occhi degli altri una sorta di animatore naturale, un naso-rosso alla nascita.
Ma i bambini del mezzanino? Si divertiranno alla stessa maniera? E come faccio, se non so una parola d'arabo?
Arrivato in stazione, trovo il caos. Oltre al via vai ordinario tipico della Stazione ci sono i tavoli per informazioni e cibo, famiglie stipate con i bagagli sulle panchine di marmo e famiglie in piedi a fare avanti e indietro, o ad accalcarsi in vari punti per avere informazioni su quel che sta succedendo, per capire quello che succederà in futuro e quello che andrà fatto per avere un futuro.
Ci metto un po' a trovare i bambini. Sono i primi giorni di mobilitazione, e tutto è fatto al meglio delle possibilità ma pronto a essere cambiato: per ora la zona bimbi è un telo per terra in una zona di transito (tutte le zone lo sono) ed è quasi difficile non inciamparci.
Una ventina di bambini disegna tranquilla. Il telo è ben teso e loro sono fermi, zitti, ognuno completamente immerso nel suo foglio, alzando lo sguardo soltanto per prendere un pennarello o chiederlo a qualcuno: il sogno proibito di ogni insegnante. Ma non il mio, perché in mezzo a tutta quella confusione il loro silenzio ha qualcosa di poco rassicurante. Li saluto, cerco di presentarmi, di complimentarmi con chi mi è seduto più vicino per i bei disegni. Niente di niente. Il fatto è, e ora ne sono certo, che i bambini sono bravissimi ad imparare.
Sono nati per questo: che si tratti di camminare o parlare, tutto quello che permette loro di andare avanti è qualcosa che un attimo prima sembrava mancare, ma che fortunatamente ora è stato imparato. Imparare, con il proseguire della crescita diventa il loro mestiere, e non c'è dubbio su quanto sia facile per loro rendere proprio qualcosa. Come imparare la conseguenza delle proprie azioni. O come imparare a stare zitti. Lascio andare la mia mente a tutte le immagini che so inventare da quel che conosco delle lunghe migrazioni dalla Siria, e non ne trovo una che sia adatta a giocare.
Immagino le camionette cariche, i barconi, la lunga permanenza a Lampedusa e il viaggio clandestino verso Milano. Immagino la preoccupazione di un padre e di una madre che trascurano i figli per fare il loro bene in un modo che è troppo lontano e complicato perché si possa capire a soli sei anni. Immagino una famiglia che rischia la vita ogni giorno per mesi e mesi, senza feste o momenti di unione degni di essere chiamati tali, magari senza compleanni. Il momento che ogni madre ha, quello in cui non si può ascoltare il bambino e assecondarlo perché c'è veramente troppo da fare, prolungato all'infinito.
Davanti a me ho dei bambini che hanno imparato a essere invisibili.
Pensando queste cose è difficile restare sconfortati dalla reazione fredda di un bambino, perché si sa che quel bambino è solo in credito col mondo intero di un amore che veramente tarda ad arrivare, e in quel momento ti senti il responsabile del risarcimento. Magari con gli interessi.
Con un po' di fogli arrotolati si può costruire un albero, e con un po' di pazienza in più si può spiegare a una bambina come farlo senza saper parlare la sua lingua. Qualcosa comincia a cambiare, spunta qualche sorriso che sembra vero. Il telo è un po' stropicciato.
Arriva in dono un sacco pieno di giochi, e arriva una ragazza con dei palloncini da scultura: pensava che qui sarebbero stati utili anche se lei non sa usarli. È una bellissima coincidenza il fatto che io sia capace.
E allora è il momento dei cagnolini, dei fiori, dei cuori e delle volpi (quando un cagnolino esce con la coda un po' troppo lunga), tutti di tantissimi colori che sono tutti il colore preferito, almeno finché non finisce il rosa. È il momento di saltare, calciare un palloncino, cantare qualcosa, ridere senza mani davanti alla bocca, andare a esplorare il mezzanino almeno finché non mi beccano, spiegare un disegno a questo tipo con la maglietta rossa e se gli piace andare a farlo vedere anche alla mamma.
Lo spazio bimbi è sempre dove l'ho trovato, ma non è più invisibile: è pieno di colori e rumori che gli adulti non possono non notare. E infatti qualcuno di loro passa e ride, qualche mamma viene a chiedere un palloncino per il bebè che ha in braccio, molti sulle panchine guardano sorridendo.
Non c'è niente che non vada per davvero: anche un palloncino scoppiato può far ridere, perché si trasforma in un elastico con cui alcune bambine possono insalamarmi in un'improbabile acconciatura dopo avermi fatto la barba, lavato e asciugato i capelli, nel mio barbiere immaginario di fiducia.
Sta succedendo qualcosa di diverso oggi, per loro e per me. Forse durerà pochissimo, di sicuro molto meno di quanto sarebbe giusto, ma ne sarà comunque valsa la pena perché senza sarebbe stato peggio.
Poi le famiglie se ne vanno poco per volta, ciascuna al suo treno o al dormitorio dove dovranno passare tutti la notte prima di ritornare ad attendere al mezzanino.
Quando rimango solo, aiuto gli altri volontari a raccogliere giochi e fogli sparsi, i palloncini scoppiati e il telo, che è tutto accartocciato su un lato.
Poi torno a casa, e sono felice. Sudato e felice. È che ho fatto un po' della migliore ginnastica possibile, quella che allena anche tutti gli organi interni.
E oggi so che se aprire piano piano il ricordo dei bambini del mezzanino è doloroso e fa paura, è anche perché mi mancano in una maniera stupida, e sono preoccupato per loro. Non sapere dove si stanno svegliando può rovinare la colazione.
Ma può anche dare un bellissimo motivo per andare avanti e cercare di dare aiuto in ogni maniera possibile. È un motivo grande e colorato, e parla in arabo con tante piccole voci molto dolci. Un ricordo che non posso più appiattire.