Ius Scholae: cos'è e cosa prevede
*Data ultimo aggiornamento dell'articolo: 17/09/2024.
Lo “Ius Scholae”, è un’espressione coniata per definire una specifica proposta di legge sulla cittadinanza presa in esame in Parlamento alcuni anni fa e poi arenatasi alla Camera nel 2022 (a seguito del cambio di Governo).
Il termine è stato ripreso in altre successive proposte di legge ed è tornato al centro della discussione politica ad agosto 2024. Il testo di riforma dell’epoca legava l’acquisizione della cittadinanza al compimento di un ciclo di studi. Più nello specifico, prevedeva il riconoscimento della cittadinanza per i minorenni nati in Italia o arrivati prima dei 12 anni che vi avessero risieduto legalmente senza interruzioni frequentando regolarmente almeno 5 anni di studio, in uno o più cicli scolastici. Nel caso in cui la frequenza riguardasse la scuola primaria, era necessario il superamento del ciclo di studi con esito positivo.
Da anni in Italia si attende una riforma sostanziale della legge sulla cittadinanza e in queste ultime settimane il dibattito sul tentativo di riforma è tornato a far parte dell'agenda politica.
Riconoscere la cittadinanza italiana ai minori che nascono e crescono nel nostro Paese rappresenta un'opportunità di uguaglianza, concedendo pari diritti a tutti quegli italiani e italiane di fatto, ma non per la legge.
Ius Scholae, cosa prevede?
La proposta di legge sul cosiddetto Ius Scholae presa in esame in Parlamento nel 2018 e poi arenatasi alla Camera nel 2022 prevedeva:
- il riconoscimento della cittadinanza italiana per i giovani con background migratorio nati in Italia o arrivati prima del compimento dei 12 anni che risiedano legalmente e che abbiano frequentato regolarmente almeno 5 anni di studio nel nostro Paese, in uno o più cicli scolastici. Inoltre, se i 5 anni considerati includono la frequenza della scuola primaria, allora viene richiesto anche il superamento del ciclo di studi con esito positivo come elemento fondamentale per il riconoscimento della cittadinanza;
- il riconoscimento da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell’Istruzione, dei requisiti essenziali che i percorsi di istruzione e formazione professionale devono possedere per essere considerati titoli idonei per l’acquisto della cittadinanza;
- la presentazione su base volontaria della domanda di cittadinanza prima del compimento del diciottesimo compleanno, da parte di almeno un genitore legalmente residente in Italia o chi esercita la capacità genitoriale, all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza. In caso di mancanza di questa dichiarazione di volontà, l’interessato acquista la cittadinanza se ne fa richiesta all’ufficiale dello stato civile entro due anni dal raggiungimento della maggiore età;
- gli ufficiali di anagrafe sono tenuti a comunicare ai residenti di cittadinanza straniera, nei sei mesi precedenti il compimento del diciottesimo anno di età, la possibilità di acquisire il diritto di cittadinanza. L’inadempimento di tale obbligo di informazione sospende i termini di decadenza per la dichiarazione di elezione della cittadinanza. Su questo punto ricordiamo l’impegno della Campagna “18 anni… in Comune!”, promossa sin dal 2011 da Save the Children con Anci e Rete G2 .
Negli anni seguenti sono state fatte altre proposte di legge basate sullo “ius scholae” e più di recente, nel settembre 2024, sono stati presentati alcuni emendamenti al cosiddetto “Ddl sicurezza”[1] che proponevano una riforma della legge sulla cittadinanza. Tuttavia fino ad oggi nessuna proposta è stata approvata e nulla è cambiato.
COME SI DIVENTA CITTADINI ITALIANI OGGI?
In Italia, l’acquisizione della cittadinanza italiana è attualmente regolamentata dalla Legge 91 del 1992, che stabilisce il cosiddetto ius sanguinis, ovvero il diritto di cittadinanza sin dalla nascita per chi è figlio di uno o entrambi i genitori cittadini italiani. Per i cittadini stranieri, è possibile chiedere la cittadinanza italiana dopo 10 anni di residenza regolare e ininterrotta sul territorio italiano (naturalizzazione). La stessa legge prevede alcune salvaguardie contro l’apolidia e per chi ha genitori impossibilitati a trasmettere la propria cittadinanza. Anche i figli di ignoti trovati nel territorio italiano acquisiscono dalla nascita la cittadinanza italiana.
Diverso è il caso dei minorenni di origine straniera nati in Italia. Secondo le norme attualmente vigenti, solo coloro che hanno risieduto legalmente e senza interruzioni nel nostro Paese fino al raggiungimento della maggiore età possono divenire cittadini italiani, presentando richiesta entro un anno dal compimento del diciottesimo compleanno. Una legge ormai superata nei fatti, per bambini, bambine e adolescenti che nascono e crescono in Italia insieme ai compagni di scuola, ma con meno diritti e opportunità. La mancata cittadinanza complica ad esempio l’accesso ad attività extra scolastiche come la partecipazione a gite scolastiche e attività sportive.
Per chi è arrivato in Italia anche da molto piccolo resta la via della naturalizzazione, in base alla quale il cittadino straniero può chiedere la cittadinanza se ha raggiunto i dieci anni di residenza regolare ininterrotta e può dimostrare un certo livello di reddito, oltre ad altri requisiti alloggiativi, linguistici e di carattere sociale.
Sono tantissimi gli alunni e le alunne con background migratorio che ogni giorno frequentano le scuole. Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall’Ufficio Statistica del Ministero dell’Istruzione e del Merito [2], nelle scuole ci sono 914.860 studenti con cittadinanza non italiana: sono l’11,2% della popolazione scolastica. Solo il 15,5% delle scuole italiane non registra la presenza di alunni di origine straniera.
A settembre 2023 abbiamo lanciato una petizione per chiedere al Parlamento di riformare la legge sulla cittadinanza italiana per le bambine e i bambini nati o cresciuti in Italia e al Governo di garantire politiche efficaci di inclusione scolastica che sostengano i percorsi educativi degli studenti con background migratorio, con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze negli apprendimenti.
L’attuale legge sulla cittadinanza, vecchia di trent’anni, non fotografa più il Paese che incontriamo ogni volta che entriamo in una aula scolastica.
I tentativi di riforma
Molteplici sono stati i tentativi (purtroppo falliti) di modifica della Legge 91/1992. L’unica proposta di legge che ha ottenuto l’approvazione in almeno un ramo del Parlamento, la Camera dei Deputati, era del 2015 e proponeva l’introduzione di due nuove modalità di acquisizione della cittadinanza per figli minori di genitori stranieri: lo ius soli temperato [3] e il cosiddetto “ius culturae”[4]. Per saperne di più sulle diverse proposte di legge, leggi l'articolo Ius Soli, Ius Sanguinis, Ius Scholae e Ius Culturae: quali sono le differenze.
Tuttavia, non è stata raggiunta una maggioranza politica per trasformare questa proposta in legge. Al contrario, negli anni c’è stato un progressivo irrigidimento delle misure applicabili, prima con la Legge 94/2009 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” e poi con il cosiddetto “Decreto Sicurezza (DL 113/2018 convertito dalla Legge 132/2018). Entrambe le norme hanno infatti reso più costoso e lungo il procedimento di riconoscimento della cittadinanza.
Solo nel 2013 con il Decreto del Fare (DL 69/2013) si sono registrati alcuni importanti progressi a favore dei minorenni nati in Italia. Grazie a questa misura, infatti, si ottenne che almeno non venissero imputate al diretto interessato eventuali inadempienze riconducibili ai genitori o alla Pubblica Amministrazione, prevendendo anche proroghe per la presentazione della domanda di cittadinanza.
Nell’agosto 2024 si è riacceso il dibattito politico e a inizio settembre un nutrito gruppo di associazioni e personalità politiche si è mobilitato per portare avanti un referendum volto a modificare la legge sulla cittadinanza. Il 4 settembre è stato depositato in Cassazione un quesito per ridurre a 5 anni (da dieci) il termine di residenza legale ininterrotta in Italia per diventare cittadini italiani. In base a questa modifica i figli minori di genitori stranieri acquisirebbero la cittadinanza automaticamente una volta acquistata i genitori con cui convivono, dopo un lasso di tempo di residenza nel nostro Paese inferiore a quello sino ad ora previsto.
Come si ottiene la cittadinanza nei Paesi UE
Guardando all’Unione Europea, la naturalizzazione è prevista ovunque, con una media di 6,8 anni di residenza regolare richiesta, con differenze importanti tra Paese e Paese.
- La Polonia, ad esempio, richiede 3 anni di residenza, mentre solo Italia, Slovenia, Austria, Lituania e Spagna prevedono un requisito di 10 anni.
- Molti Stati europei adottano il principio dello ius soli condizionato, ” o “temperato” in base al quale il nuovo nato acquisisce la cittadinanza per nascita nel territorio dello Stato, ma solo se a questa condizione se ne somma un’altra (o più d’una), come ad esempio la residenza legale dei suoi genitori nel territorio o il fatto che essi siano a loro volta nati nel Paese.
- Lo ius soli temperato dalla residenza regolare dei genitori è previsto in Belgio (i genitori devono essere residenti da almeno 10 anni), Germania (8 anni ), Irlanda e Portogallo (3 anni).
- Il doppio ius soli, ossia la possibilità di divenire cittadino quando anche almeno un proprio genitore sia nato sul territorio, è previsto in Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna. In Grecia oltre ad essere nato sul territorio, il genitore deve avere un permesso di soggiorno per residenza permanente, siamo di fronte ad un caso di doppio ius soli temperato.
La ricerca Immerse
La ricerca IMMERSE mostra inoltre come il possesso o la privazione della cittadinanza sia un elemento intersezionale che segna i vissuti e le esperienze delle “nuove generazioni di origine immigrata” in termini di socialità e partecipazione, insieme a molteplici altri fattori, come ad esempio la risorse cognitive e culturali, il genere e lo status socio-economico. Al centro dell’intersezione tra appartenenze e culture diverse, i minorenni con background migratorio sviluppano infatti la loro identità in un contesto di relazioni multiple, sia con i gruppi di origine che con gli autoctoni, esponendosi a condizioni di vulnerabilità e discriminazione, spesso legate a stereotipi e costruzioni sociali e culturali della diversità: «uno si sente diverso solo quando qualcun altro lo definisce così». (partecipante focus group)
Non riconoscere la cittadinanza italiana a questi bambini, bambine e giovani rischia di limitate il loro senso di appartenenza al territorio, alla comunità, e limitare il desiderio di partecipare alla vita sociale dei quartieri. Al contrario, il riconoscimento della cittadinanza italiana promuoverebbe l’integrazione e aprirebbe ad un senso di appartenenza e partecipazione, teso ad una cittadinanza globale e un’identità multistrato.
Per approfondire:
Abbiamo approfondito l'argomento anche sul nostro report “Il mondo in una classe. Un’indagine sul pluralismo culturale nelle scuole italiane”, pubblicato in vista della riapertura delle scuole lo scorso anno, che presenta uno spaccato di diseguaglianze educative che compromettono i percorsi di crescita di bambine, bambini e adolescenti in Italia.
Note:
- [1] "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario" (1660).
- [2] Ministero dell’Istruzione e del Merito, Ufficio di Statistica, Gli alunni con cittadinanza non italiana a.s. 2022-2023, Agosto 2024.
- [3] Lo ius soli temperato prevedeva che sarebbero diventati cittadini italiani i figli, nati nel territorio della Repubblica italiana, di genitori stranieri se almeno uno di loro aveva un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo. In questo caso, la cittadinanza veniva acquisita mediante la dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale del minore.
- [4] Lo ius culturae prevedeva l’ottenimento della cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia, o entrati entro il 12esimo anno di età, che avessero “frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali”.