Calamità dovute a cambiamenti climatici: Save the Children, 175 milioni di bambini a rischio ogni anno
Siccità, alluvioni, terremoti, cicloni: questi i principali drammatici effetti dei cambiamenti climatici che stanno colpendo il pianeta, mettendo in pericolo la vita di 175 milioni di bambini ogni anno, cifra che segna un aumento del 40% rispetto al decennio precedente. Per fronteggiare queste calamità naturali, i governi, le organizzazioni internazionali, le agenzie umanitarie devono cambiare il loro approccio e le loro strategie.
Questo il forte messaggio arrivato oggi da Save the Children che, in un nuovo rapporto internazionale lanciato oggi in tutto il mondo, evidenzia la necessità di investire sulla prevenzione più che sulla risposta alle emergenze, al fine di ridurre il loro impatto su milioni di bambini vulnerabili e le loro famiglie. Si stima che per ogni dollaro investito per prepararsi ad affrontare un disastro naturale, se ne risparmiano sette che sarebbero necessari a ripagare i danni causati dallo stesso. Se tutte le nazioni donassero un addizionale 10% da destinare alla prevenzione, rispetto ai 10 miliardi di dollari che vengono stanziati in risposta alle emergenze, potrebbero essere risparmiati ben 7 miliardi di dollari. Una cifra sufficiente a rispondere a cinque emergenze come lo tsunami nel sud-est asiatico.
Nell’ultimo periodo la frequenza e la violenza delle catastrofi naturali testimoniano che, allo stato attuale, non è più sufficiente cercare di mitigare gli effetti delle emissioni di anidride carbonica, ma occorre pianificare investimenti volti a prevenire le loro devastanti conseguenze sulla popolazione.
“È molto difficile sapere esattamente quale sarà il Paese colpito dal prossimo disastro, ma sappiamo quali sono le aree più a rischio – afferma Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia – . Nonostante i cambiamenti climatici siano un fenomeno globale, gli effetti del surriscaldamento del pianeta si ripercuoteranno in maniera più grave nei paesi in via di sviluppo: milioni di persone rischiano di essere colpite da alluvioni in alcuni paesi asiatici e, in molti di questi luoghi, i bambini vivono in aree che non hanno alcun sistema di pre-allerta né sono dotate di strategie di riduzione dei rischi e protezione civile, al contrario di quanto avviene nei paesi sviluppati. E lo stesso vale per le regioni aride dell’Africa sub-Sahariana. ”
Avvenimenti molto recenti hanno messo in evidenza l’importanza della prevenzione.
“Quando il ciclone Sidr ha colpito il Bangladesh nel novembre 2007, le migliaia di volontari che facevano parte del “programma di emergenza ciclone” del paese, si sono mobilitate immediatamente e sono state in grado di evacuare la gente che viveva nelle zone colpite, limitando in tal modo a 4.000 il numero delle vittime. Nel 1991, invece, un ciclone simile ne aveva causate ben 140.000 - continua Valerio Neri –. In Birmania, colpita un mese e mezzo fa da un evento simile e priva di un piano d’emergenza strutturato, l’impatto è stato molto più devastante”.
I dati
Ben 14 dei 15 appelli d’emergenza lanciati dalle Nazioni Unite nel 2007 erano legati ai cambiamenti climatici. Il numero dei disastri naturali oggi è pari a quattro volte quello registrato negli anni settanta e se allora le persone coinvolte ammontavano a circa 100 milioni, oggi questa cifra è salita vertiginosamente fino a 250 milioni.
Il 3% della superficie terrestre è attualmente colpito da grave siccità, percentuale che è triplicata negli ultimi dieci anni e che entro il 2020 dovrebbe arrivare all’8%, per toccare quota 30% entro la fine del secolo. Nel futuro prossimo, gli effetti della siccità saranno ancora più gravi nei paesi in via di sviluppo, in cui le famiglie che basano il proprio sostentamento sull’agricoltura saranno gettate nella povertà: nella sola Africa la scarsità di acqua potrebbe riguardare fino a 250 milioni di persone.
Si stima inoltre che a causa dei cambiamenti climatici la temperatura globale subirà un aumento di 3 gradi entro al fine del secolo, causando un innalzamento del livello del mare di circa 59 centimetri. Le catastrofi ambientali provocheranno vasti movimenti migratori, che già riguardano alcune zone del pianeta, come l’Africa Sub-Sahariana, e che coinvolgeranno circa 50 milioni di persone entro il 2010, la maggior parte dei quali saranno donne e bambini. Questi ultimi, negli spostamenti potrebbero essere separati dalla loro famiglie ed esposti al rischio di abusi e sfruttamento di ogni tipo.
Il trend dei cambiamenti climatici e le calamità naturali ad essi correlate avranno un particolare impatto sui bambini, aumentando in modo esponenziale i già elevati tassi delle più gravi cause di mortalità infantile. La malaria, ad esempio, che è ogni anno responsabile della morte di circa 800.000 bambini con meno di 5 anni in Africa, è destinata a diffondersi maggiormente con l’innalzamento delle temperature: secondo i dati diffusi da Save the Children, un aumento di 2 gradi della temperatura in Africa, potrebbe esporre a rischio di contagio malaria 60 milioni di persone e i pericoli maggiori sarebbero corsi dai bambini.
I cambiamenti climatici avranno effetti devastanti anche sulla malnutrizione che colpirà soprattutto i paesi più poveri, facendo aumentare ulteriormente la cifra di 3 milioni e mezzo di bambini all’anno che oggi muoiono per questa causa, pari a circa un terzo della mortalità infantile globale. Si stima che entro il 2080 saranno 600 milioni le persone che soffriranno di malnutrizione acuta a causa dei cambiamenti climatici.
La scarsità di risorse prodotte dai cambiamenti climatici e dalle calamità naturali, aumenta la competizione per accaparrarsi la scarse risorse, acuendo le tensioni e le possibilità di conflitto negli stati più fragili: nel 2007 i paesi esposti a questo rischio erano ben 46.
Le calamità naturali compromettono l’accesso dei bambini all’istruzione e anche dopo che la fase di emergenza viene superata, gli effetti si fanno sentire per anni su un sistema scolastico in rovina, con scuole distrutte, insegnanti morti o scappati. In Sri Lanka, due anni dopo lo tsunami, Save the Children ha condotto un indagine su 2.500 bambini, dei quali ben il 29% era ancora sfollato, viveva in sistemazioni temporanee e non andava a scuola come prima. L’educazione, al contrario, può essere un aspetto chiave nella risposta alle emergenze, fornendo ai bambini le informazioni di base per la propria sopravvivenza, a partire da quelle riguardanti l’igiene e la propria salute, ed è di grande aiuto per superare il trauma subito.
Secondo Save the Children, di fronte a questi dati allarmanti è necessario attuare programmi di preparazione volti a ridurre l’impatto dei catastrofi naturali, i cosiddetti Programmi di Riduzione del Rischio di Disastro (DRR – Disaster Risk Reduction) che possono includere gli interventi più vari, dalla costruzione di rifugi sicuri, ai piani di evacuazione e pre-allerta, che coinvolgano tutti gli abitanti, le istituzioni e le organizzazioni. All’interno di questi programmi, devono essere anche previsti appositi interventi rivolti ai bambini che, in caso di disastri naturali, li aiutino ad individuare immediatamente i pericoli e li rendano in grado di mettersi in salvo.
Sono già 168 i Paesi che hanno adottato il cosiddetto Accordo Quadro di Hyogo , che prevede vari interventi di Riduzione del Rischio di Disastro a livello locale, regionale, nazionale ed internazionale, ma Save the Children esprime preoccupazione sulle modalità di attuazione degli stessi.
L’Organizzazione, pertanto, raccomanda:
• ai Paesi Donatori di impegnare un addizionale 10% della cifra che normalmente investono nella risposta alle catastrofi naturali da destinare alla prevenzione;
• ai Paesi che hanno aderito all’Accordo Quadro di Hyogo di attuare i propri impegni, rendendo note le misure adottate;
• che i bambini che vivono in aree a rischio di calamità naturali vengano preparati in modo da rispondere in modo adeguato a questi eventi e siano coinvolti in tutti gli interventi di Riduzione del Rischio di Disastro all’interno delle loro comunità.
Per ulteriori informazioni:
Ufficio stampa Save the Children Italia,
Tel 06 48070071-23
press@savethechildren.it
www.savethechildren.it
Questo il forte messaggio arrivato oggi da Save the Children che, in un nuovo rapporto internazionale lanciato oggi in tutto il mondo, evidenzia la necessità di investire sulla prevenzione più che sulla risposta alle emergenze, al fine di ridurre il loro impatto su milioni di bambini vulnerabili e le loro famiglie. Si stima che per ogni dollaro investito per prepararsi ad affrontare un disastro naturale, se ne risparmiano sette che sarebbero necessari a ripagare i danni causati dallo stesso. Se tutte le nazioni donassero un addizionale 10% da destinare alla prevenzione, rispetto ai 10 miliardi di dollari che vengono stanziati in risposta alle emergenze, potrebbero essere risparmiati ben 7 miliardi di dollari. Una cifra sufficiente a rispondere a cinque emergenze come lo tsunami nel sud-est asiatico.
Nell’ultimo periodo la frequenza e la violenza delle catastrofi naturali testimoniano che, allo stato attuale, non è più sufficiente cercare di mitigare gli effetti delle emissioni di anidride carbonica, ma occorre pianificare investimenti volti a prevenire le loro devastanti conseguenze sulla popolazione.
“È molto difficile sapere esattamente quale sarà il Paese colpito dal prossimo disastro, ma sappiamo quali sono le aree più a rischio – afferma Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia – . Nonostante i cambiamenti climatici siano un fenomeno globale, gli effetti del surriscaldamento del pianeta si ripercuoteranno in maniera più grave nei paesi in via di sviluppo: milioni di persone rischiano di essere colpite da alluvioni in alcuni paesi asiatici e, in molti di questi luoghi, i bambini vivono in aree che non hanno alcun sistema di pre-allerta né sono dotate di strategie di riduzione dei rischi e protezione civile, al contrario di quanto avviene nei paesi sviluppati. E lo stesso vale per le regioni aride dell’Africa sub-Sahariana. ”
Avvenimenti molto recenti hanno messo in evidenza l’importanza della prevenzione.
“Quando il ciclone Sidr ha colpito il Bangladesh nel novembre 2007, le migliaia di volontari che facevano parte del “programma di emergenza ciclone” del paese, si sono mobilitate immediatamente e sono state in grado di evacuare la gente che viveva nelle zone colpite, limitando in tal modo a 4.000 il numero delle vittime. Nel 1991, invece, un ciclone simile ne aveva causate ben 140.000 - continua Valerio Neri –. In Birmania, colpita un mese e mezzo fa da un evento simile e priva di un piano d’emergenza strutturato, l’impatto è stato molto più devastante”.
I dati
Ben 14 dei 15 appelli d’emergenza lanciati dalle Nazioni Unite nel 2007 erano legati ai cambiamenti climatici. Il numero dei disastri naturali oggi è pari a quattro volte quello registrato negli anni settanta e se allora le persone coinvolte ammontavano a circa 100 milioni, oggi questa cifra è salita vertiginosamente fino a 250 milioni.
Il 3% della superficie terrestre è attualmente colpito da grave siccità, percentuale che è triplicata negli ultimi dieci anni e che entro il 2020 dovrebbe arrivare all’8%, per toccare quota 30% entro la fine del secolo. Nel futuro prossimo, gli effetti della siccità saranno ancora più gravi nei paesi in via di sviluppo, in cui le famiglie che basano il proprio sostentamento sull’agricoltura saranno gettate nella povertà: nella sola Africa la scarsità di acqua potrebbe riguardare fino a 250 milioni di persone.
Si stima inoltre che a causa dei cambiamenti climatici la temperatura globale subirà un aumento di 3 gradi entro al fine del secolo, causando un innalzamento del livello del mare di circa 59 centimetri. Le catastrofi ambientali provocheranno vasti movimenti migratori, che già riguardano alcune zone del pianeta, come l’Africa Sub-Sahariana, e che coinvolgeranno circa 50 milioni di persone entro il 2010, la maggior parte dei quali saranno donne e bambini. Questi ultimi, negli spostamenti potrebbero essere separati dalla loro famiglie ed esposti al rischio di abusi e sfruttamento di ogni tipo.
Il trend dei cambiamenti climatici e le calamità naturali ad essi correlate avranno un particolare impatto sui bambini, aumentando in modo esponenziale i già elevati tassi delle più gravi cause di mortalità infantile. La malaria, ad esempio, che è ogni anno responsabile della morte di circa 800.000 bambini con meno di 5 anni in Africa, è destinata a diffondersi maggiormente con l’innalzamento delle temperature: secondo i dati diffusi da Save the Children, un aumento di 2 gradi della temperatura in Africa, potrebbe esporre a rischio di contagio malaria 60 milioni di persone e i pericoli maggiori sarebbero corsi dai bambini.
I cambiamenti climatici avranno effetti devastanti anche sulla malnutrizione che colpirà soprattutto i paesi più poveri, facendo aumentare ulteriormente la cifra di 3 milioni e mezzo di bambini all’anno che oggi muoiono per questa causa, pari a circa un terzo della mortalità infantile globale. Si stima che entro il 2080 saranno 600 milioni le persone che soffriranno di malnutrizione acuta a causa dei cambiamenti climatici.
La scarsità di risorse prodotte dai cambiamenti climatici e dalle calamità naturali, aumenta la competizione per accaparrarsi la scarse risorse, acuendo le tensioni e le possibilità di conflitto negli stati più fragili: nel 2007 i paesi esposti a questo rischio erano ben 46.
Le calamità naturali compromettono l’accesso dei bambini all’istruzione e anche dopo che la fase di emergenza viene superata, gli effetti si fanno sentire per anni su un sistema scolastico in rovina, con scuole distrutte, insegnanti morti o scappati. In Sri Lanka, due anni dopo lo tsunami, Save the Children ha condotto un indagine su 2.500 bambini, dei quali ben il 29% era ancora sfollato, viveva in sistemazioni temporanee e non andava a scuola come prima. L’educazione, al contrario, può essere un aspetto chiave nella risposta alle emergenze, fornendo ai bambini le informazioni di base per la propria sopravvivenza, a partire da quelle riguardanti l’igiene e la propria salute, ed è di grande aiuto per superare il trauma subito.
Secondo Save the Children, di fronte a questi dati allarmanti è necessario attuare programmi di preparazione volti a ridurre l’impatto dei catastrofi naturali, i cosiddetti Programmi di Riduzione del Rischio di Disastro (DRR – Disaster Risk Reduction) che possono includere gli interventi più vari, dalla costruzione di rifugi sicuri, ai piani di evacuazione e pre-allerta, che coinvolgano tutti gli abitanti, le istituzioni e le organizzazioni. All’interno di questi programmi, devono essere anche previsti appositi interventi rivolti ai bambini che, in caso di disastri naturali, li aiutino ad individuare immediatamente i pericoli e li rendano in grado di mettersi in salvo.
Sono già 168 i Paesi che hanno adottato il cosiddetto Accordo Quadro di Hyogo , che prevede vari interventi di Riduzione del Rischio di Disastro a livello locale, regionale, nazionale ed internazionale, ma Save the Children esprime preoccupazione sulle modalità di attuazione degli stessi.
L’Organizzazione, pertanto, raccomanda:
• ai Paesi Donatori di impegnare un addizionale 10% della cifra che normalmente investono nella risposta alle catastrofi naturali da destinare alla prevenzione;
• ai Paesi che hanno aderito all’Accordo Quadro di Hyogo di attuare i propri impegni, rendendo note le misure adottate;
• che i bambini che vivono in aree a rischio di calamità naturali vengano preparati in modo da rispondere in modo adeguato a questi eventi e siano coinvolti in tutti gli interventi di Riduzione del Rischio di Disastro all’interno delle loro comunità.
Per ulteriori informazioni:
Ufficio stampa Save the Children Italia,
Tel 06 48070071-23
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