La testimonianza di un bambino soldato della Repubblica Centrafricana
Nella Repubblica Centrafricana migliaia di bambini sono stati coinvolti nel conflitto fra gruppi armati. Si stima che siano fra i 6 mila e i 10 mila i minori reclutati per combattere.
Grace a Dieu è stato un bambino soldato e questa è la sua storia.
Sono entrato a far parte del gruppo Seleka quando nel dicembre del 2012 hanno ucciso mio padre. Lui lavorava in un negozio, quando sono arrivati hanno dato per scontato che, lavorando per una grande compagnia, avesse molti soldi da dare loro. Lo presero, lo picchiarono e due settimane dopo è stato assassinato. Abbiamo cercato invano il suo corpo. Quando lo hanno preso, io ero in chiesa. Era domenica. Mio padre si era sempre preso cura di me pagando i miei studi, ma lui non c'era più e io pensai che dovevo unirmi ai gruppi armati per prendermi cura della mia famiglia, non vedevo altre soluzioni. Se mio padre fosse stato con noi, sarebbe stato tutto diverso, avrei continuato i miei studi e la mia famiglia starebbe bene. Ma non è andata così e io mi sono dovuto unire a loro. Noi siamo sette in famiglia, io sono il più vecchio. Mia madre vende fagioli al mercato, ma non è abbastanza. Quando mi sono unito al gruppo, ci hanno portato in un luogo a circa 10 km dal villaggio, lì ci hanno preparato in modo molto duro, strisciavamo anche nel fango, volevano che diventassimo spietati.
Grace a Dieu è stato in prima linea durante molte battaglie, fino a quella di Banguai, in cui, resosi conto del fatto che il conflitto era ormai politico, ha deciso di lasciare il gruppo armato e tornare al suo villaggio, per riprendere la scuola e magari aprire qualche piccola attività commerciale.
C'erano così tanti bambini nel gruppo armato, fino a che una Ong (COOPI) ha negoziato con i leader per portarci via. Ho visto molti altri bambini cadere e morire mentre combattevano. Non ho fatto amicizia con nessuno mentre ero nel gruppo armato, tranne un amico con cui ero partito e che è ritornato con me. Prima che il gruppo Seleka prendesse il Paese non c'erano differenze fra musulmani e cristiani, eravamo tutti uguali. Dopo che abbiamo preso il potere le differenze si sono fatte evidenti, i musulmani hanno iniziato ad essere favoriti rispetto ai cristiani. Questo non mi piaceva e per questo ho lasciato. Onestamente ho vissuto bene nel gruppo armato, vivevamo dei saccheggi, le conquiste della guerra. La parte difficile era la lotta in prima linea. Quando stavamo all'aria aperta, anche sotto la pioggia. Gli attacchi di solito iniziavano sempre nel pomeriggio ed eravamo sempre gruppi misti di adulti e bambini. Quando facevo parte del gruppo armato, non mi preoccupavo di quello che stavo facendo. Fu solo in seguito, dopo aver lasciato, che ho iniziato a realizzare e rimpiangere quello che avevo fatto. Moralmente, emotivamente, ero turbato. Nel gruppo armato usavano molte droghe, io bevevo molto ma non usavo droghe. A volte penso che avrei dovuto bere di più prima di andare in battaglia, spesso dopo bevevo molto. In generale ho bevuto molto durante quel periodo. Avevo 15 anni, ma ho visto bambini anche di 8. I più giovani fra noi erano gli assistenti degli ufficiali.
Quando gli abbiamo chiesto come sta ora, ci ha risposto:
mi sento bene adesso, non ho incubi, il mio più grande desiderio è quello di tornare a scuola e studiare. Se non posso farlo, se le Ong non mi possono aiutare, mi piacerebbe avere un'attività commerciale. Ma se mi chiedete che cosa desidero, la risposta è tornare a scuola. Mi piaceva molto leggere. Non credo che cristiani e musulmani potranno vivere in armonia ora, con tutto quello che è successo. Con tutto quello che abbiamo fatto. Voglio davvero lasciare un messaggio che sia ascoltato da tutti i bambini, ma soprattutto dai bambini della Repubblica Centrafricana, affinché possano decidere di guadagnarsi da vivere grazie agli sforzi che fanno a scuola, è molto meglio che farsi strada appartenendo a un gruppo armato.
Nella Repubblica Centrafricana lavoriamo fornendo sostegno psicologico, per il ricongiungimento dei minori e le famiglie e per reintegrare i bambini nelle comunità di appartenenza. Per far questo e per rafforzare i meccanismi di protezione dell'infanzia, collaboriamo con associazioni locali, con i leader di comunità e le famiglie.