Dalla guerra in Siria alla vita in un campo profughi a Lesbo. La storia di Salma e della sua famiglia
Nel tentativo di raggiungere l’Europa, nel 2016 hanno perso la vita in mare almeno 3.120 persone, tra cui molte donne e bambini, ed erano state almeno 3.771 le vittime nel 2015. Tra loro anche il bimbo curdo siriano di 2 anni, conosciuto come Aylan, che fu trovato senza vita sulle spiagge turche il 2 settembre 2015, dopo l’ennesimo orribile naufragio nel Mar Egeo in cui hanno perso la vita anche il suo fratellino e la sua mamma, come è accaduto ad altre centinaia di persone che tentavano di raggiungere la Grecia.
In Grecia, dove Aylan non è mai arrivato, ci sono oggi circa 57.000 profughi bloccati, accolti in campi profughi in condizioni spesso inadeguate o rinchiusi sulle isole. Sull’isola di Lesbo c’è anche Laila*, una bimba siriana di 9 anni, con la sua mamma Salma*, che cercava di cullarla durante la traversata del mare perché si potesse addormentare e non vedesse la morte in faccia.
Salma e la sua famiglia sono fuggiti dalla Siria dopo aver venduto la loro casa a un decimo del valore reale. Con il denaro racimolato, sono riusciti ad abbandonare la città in cui avevano vissuto fino ad allora, ormai finita sotto l’assedio delle parti in conflitto e dove non riuscivano più a trovare cibo a sufficienza.
Il viaggio dalla Turchia alla Grecia, su un gommone, è stato terrificante e Salma era convinta che non ce l’avrebbero fatta e che sarebbero tutti morti nel tentativo di raggiungere la salvezza. Durante il viaggio, Salma cullava la figlia Laila fino a farla addormentare, perché non si accorgesse di nulla se fossero morti. Per fortuna sono riusciti a sopravvivere, remando con le mani per le ultime centinaia di metri che li separavano dalla spiaggia. Ora la famiglia di Salma è bloccata da mesi in un campo profughi all’aperto, sull’isola di Lesbo, con il terrore di essere rimandata in Turchia a causa dell’accordo con l’UE.
Da quando ha lasciato la Siria, Laila non è più la stessa. Si irrita facilmente e non desidera altro che vivere in una casa e poter tornare a scuola. Ora Laila frequenta lo Spazio a Misura di Bambino che abbiamo attivato nel campo di Lesbo per restituire un minimo di normalità alla vita dei tanti bambini costretti a vivere in questa situazione.
La testimonianza di Salma
"Veniamo da una grande città della Siria, che ora si trova sotto assedio ed è divisa tra le due parti in conflitto. Non avevamo più cibo a sufficienza per sfamare la nostra famiglia e quindi abbiamo deciso di fuggire. Ma l'altra ragione per cui siamo andati via è che uno dei miei figli aveva quasi 17 anni estavano cercando di reclutarlo per combattere. Se ciò fosse accaduto, al 99 per cento sarebbe stato ucciso. Non volevamo che partecipasse agli scontri e sapevamo bene che se non fosse stato reclutato da una parte sarebbe stato l’altro schieramento a farlo. Abbiamo abbandonato la nostra casa e poi abbiamo viaggiato in macchina e a piedi.
C'erano cecchini ovunque e il terreno era pieno di mine. Mio marito camminava per primo e noi seguivamo i suoi passi. Ci diceva che se fosse saltato in aria dopo aver calpestato una mina, noi saremmo dovuti tornare indietro perché era troppo pericoloso. Mentre scappavamo, mia figlia Laila era stanca, non ce la faceva più, così i suoi fratelli la portavano sulle spalle un po' per uno.Insieme, eravamo molto forti. Siamo arrivati al confine con la Turchia ed eravamo terrorizzati dall’idea che qualcuno potesse ucciderci o potesse rimandarci indietro. Abbiamo dato tutti i soldi che avevamo alle persone che ci aiutavano a fuggire. Poi siamo arrivati a Izmir, dove siamo stati nella casa dei trafficanti.
Volevamo raggiungere subito la Grecia, ma ci hanno detto che c'era la polizia e quindi dovevamo aspettare. Abbiamo riprovato la seconda notte, ma siamo tornati indietro a causa del maltempo. La quarta notte, finalmente, ce l’abbiamo fatta! Il viaggio in mare è stata la peggiore esperienza della mia vita. Dopo un'ora e mezza il motore si è spento. Qualcuno ha cercato di riparare il motore, ma non sono riusciti a risolvere il problema. Ho pensato che per noi era la fine. Ho preso mia figlia in braccio e ho cominciato a cullarla fino a farla addormentare, così non avrebbe capito che stavamo tutti per morire.
Poi l’ho messa nelle mani di mio marito perché lui è più bravo di me a nuotare e forse grazie a lui sarebbe sopravvissuta. Anche i miei figli maschi sanno nuotare e forse anche loro sarebbero riusciti a salvarsi la vita. In quel momento tutti pregavano. Tutti dicevano che era la fine. A un tratto qualcuno ha riprovato ad aggiustare il motore che improvvisamente ha ripreso a funzionare, ma dopo 10 minuti si fermava di nuovo. Alle 4.30 del mattino, quando finalmente abbiamo visto terra, eravamo talmente storditi che ci sembrava di sognare.
Ricordo che mio figlio mi ha detto “Ora siamo al sicuro” e ha messo la mano in mare solo per assicurarsi che era vivo. Quando abbiamo visto la spiaggia abbiamo cercato di remare il più forte possibile con tutto quello che avevamo, con le nostre mani e con dei pezzi di legno. Ci è voluto molto tempo. Ma ora la cosa più importante è che qui siamo al sicuro, che la notte possiamo dormire e non dobbiamo avere paura delle bombe, anche se abbiamo il terrore che ci rimandino indietro in Turchia. A mia figlia Laila manca tantissimo la nostra casa in Siria e andare a scuola. Non desidera altro che vivere finalmente una vita normale in una vera casa e non in una tenda, come ora. La cosa più importante sono i nostri figli, che possano andare a scuola, vivere una vita normale e... avere un futuro.
Nel 2016, centinaia di persone continuano ad attraversare il Mar Egeo su imbarcazioni precarie e sovraffollate, partendo dalla Turchia verso le isole greche, tra cui Lesbo, Chios e Kos. Tuttavia, a causa della chiusura delle frontiere dei Paesi dei Balcani, circa 57 mila persone sono rimaste bloccate in Grecia e non possono più proseguire il loro viaggio. I nuovi arrivati, invece, sono rinchiusi nei centri di detenzione sulle isole, per effetto dell'accordo siglato dalla UE con la Turchia. L’accordo prevede anche la deportazione di migranti e rifugiati dai centri di detenzione greci verso la Turchia. Queste azioni hanno avuto inizio il 4 aprile 2016, quando più di 200 persone sono state rinviate in Turchia da Chios e Lesbo. *I nomi sono di fantasia per tutelare le persone coinvolte