#Volontarincampo, diario di una volontaria fra i bambini migranti sull'isola di Lesbo
13 volontari di Save the Children sono partiti per un viaggio di solidarietà in favore dei bambini migranti e rifugiati sull'isola di Lesbo, in Grecia che cambierà la loro vita.
Questo sono le prime impressioni di una di loro Carmen Sergi. "Carmen, sono Alessandra. Ti chiamo per dirti che sei stata selezionata per partire come volontaria Save the Children per l'Isola di Lesbo, in Grecia, per fare attività con e per i bambini migranti. Si parte settimana prossima. Te la senti?" È questa la telefonata che giovedì 5 novembre ho ricevuto da Save the Children e con la quale mi è stato comunicato che ero tra i tredici volontari scelti per partire in missione nell’Isola di Lesbo per la crisi migranti.
Telefonata che non mi aspettavo, che non osavo nemmeno sperare di ricevere, ma che inaspettatamente è arrivata. Quando ho deciso, nel 2012, di diventare volontaria di Save mi era molto chiaro che non avrei potuto fare missioni all’estero, ma il mio obiettivo era quello di fare un’esperienza di volontariato all’interno di un’organizzazione che si occupasse di difesa dell’infanzia, e l’essere stata scelta per essere una dei primi volontari in campo di Save the Children è stata una sorpresa e anche un privilegio.
Dopo la chiamata, ho vissuto sette intensi giorni, passati tra corsi di formazione on - line e nella sede romana dell’ONG, conoscenza dei miei compagni di viaggio, vaccinazioni e saluti vari. Il gruppo con il quale sono partita venerdì 13 novembre è composto da, compresa me, tredici persone, due ragazzi e ben undici donne.
Abbiamo personalità ed età molto diverse (andiamo dai 22 ai 45 anni) e anche approcci e motivazioni differenti, ma ci accomuna la voglia di dare una mano tutti i giorni e, oggi, in questo lembo di Mediterraneo, approdo di tante vite in cerca di un futuro da costruire.
L’arrivo a Lesbo, alle 14 di venerdì, è stato subito molto forte. Dall’aereo potevamo vedere chilometri di coste colorate di arancione. Si trattava dei giubbini salvagente, velocemente abbandonati dai migranti, appena toccata l’agognata terra, dopo il lungo viaggio in mare. Quei giubbini hanno proiettato, fin da subito, i miei compagni e me in quella realtà, fatta sì di disperazione, ma anche di voglia di farcela.
Abbiamo passato i primi giorni sull’isola formandoci, o meglio, come dicono gli americani, facendo "induction". Abbiamo conosciuto lo staff di Save the Children che, alacremente e instancabilmente, lavora qui per far fronte, insieme alle autorità locali e ad altre organizzazioni non profit, alla crisi migranti.
Vedere il personale dell'organizzazione all'opera è un'esperienza affascinante, che ti fa comprendere quanto flessibilità, lucidità, procedure e coordinamento siano essenziali per gestire una crisi e lavorare in un contesto multi-etnico. Conoscerli mi ha inoltre fatta sentire ancora più sicura, qui a Lesbo. I "corsi" che abbiamo seguito avevano l'obiettivo di prepararci ad affrontare il lavoro nei campi dei migranti delle prossime settimane, in quanto volontariato non significa approssimazione, ma anche consapevolezza che si è dinanzi a delle importanti responsabilità, nei confronti dei bambini a cui si tenta di regalare un momento di spensieratezza, dell'O.N.G., e anche di noi stessi e della nostra vita.
Il primo giorno ai campi è stato emotivamente molto impattante. Siamo scesi dall’autoveicolo e dinanzi a noi c’erano centinaia di persone con il viso stanco e i vestiti consunti, moltissimi uomini, ma anche donne e bambini. I miei compagni ed io, un po’ spaesati, ci guardavamo intorno: c’è stato chi ha incrociato le braccia sul petto, quasi come a volersi schermare da quel dolore, chi ha cercato di scambiare qualche parola con il compagno accanto.
Eravamo leggermente sopraffatti difronte a quelle scene. Per quanto si possa aver studiato e/o meditato, non si è mai a sufficienza preparati a confrontarsi con il dolore dell’umanità.
Ci siamo ripresi da quel momento iniziale di angoscia perché, grazie anche alla formazione, eravamo e siamo consci che dobbiamo essere lucidi per lavorare bene, e soprattutto perché guardare gli occhi dei bambini, pieni di vita, rinfranca e restituisce il senso profondo di quello che stai facendo. Per saperne di più segui il viaggio dei volontari su facebook attraverso