Voci dal campo, minori migranti: la tragedia di Patience
Oggi vogliamo raccontarvi due storie, quella di Valeria Gerace, una nostra collega che, nell'ambito di Mare Nostrum, ha partecipato alle operazioni di soccorso dei migranti in mare, ascoltando e vivendo in prima persona le drammatiche vicende delle persone salvate.
La seconda storia è quella di Patience, una delle persone incontrate da Valeria, che ha purtroppo perso il suo bambino in mare. Valeria ha incontrato Patience in una drammatica notte di soccorsi, questo è il racconto di quello che entrambe hanno vissuto.
Nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum abbiamo sancito un accordo di collaborazione con la Marina Militare Italiana per la realizzazione di attività di protezione dei minori grazie alla presenza di un nostro team a bordo. Come avvocato specializzata nei diritti umani lavoro con Save the Children sin dal 2011, tra le varie mie attività svolgo missioni “sul campo” e l’ultima è stata a bordo delle navi della Marina Militare Italiana.
Siamo partiti il 24 novembre 2014, dopo un viaggio mozzafiato in elicottero sorvolando il Mediterraneo, siamo atterrati sulla nave. Io e Asmarom formavamo un team di consulente legale e mediatore culturale. Le nostre attività erano quelle di garantire tutela ai minori non accompagnati ed ai nuclei familiari, assisterli durante le operazioni a bordo, informarli per una corretta identificazione, sui loro diritti e sul percorso di accoglienza ed integrazione in Italia.
Ambientarci a bordo è stato sicuramente impegnativo nei primi momenti, non è semplice per un civile calarsi nella vita militare da un giorno ad un altro.
I trasbordi di migranti
Da subito i rapporti a bordo con l'Ammiraglio ed il suo staff, nonché con il Comandante, il Comandante in seconda sono stati improntati su una squisita professionalità e collaborazione. Ciò che premeva a me e a loro era garantire interventi coordinati e proficui nell'interesse dei minori dunque ci siamo accordati immediatamente sulle questioni più urgenti, nello specifico quelle relative alla logistica dei trasbordi e dell'immediata assistenza.
In queste due settimane abbiamo avuto diversi trasbordi e sono state esperienze molto diverse dagli sbarchi sulle coste del sud Italia. Il tutto si svolge in pochi metri e i vari ambienti sono separati da tendoni a strisce bianche e rosse. Sul ponte della nave esistono differenti zone per le varie attività da effettuare e sono disposte in una sorta di percorso. È presente la zona per le perquisizioni, quella successiva per la pre-identificazione, poi quella per il fotosegnalamento e, ovviamente, il presidio medico. I civili impegnati nella missione eravamo noi, un medico della Fondazione Rava, l'Ufficio Immigrazione e la Polizia Scientifica.
Due dei trasbordi più impegnativi si sono svolti di notte:
appena arrivato l'annuncio dell’evento in corso ci siamo disposti tutti, civili e i militari, sul ponte della nave. Mentre ognuno di noi prendeva la propria postazione e si aggiustava la tuta di protezione, i guanti, la mascherina, mi sono ritrovata ad osservare ansiosa, dall'alto della nave, i piccoli gommoni guidati da militari esperti in un mare nero ed opaco. Queste piccole imbarcazioni si allontanavano verso le grandi navi che avevano soccorso i migranti e che da lontano erano solo punti luminosi. Dopo minuti interminabili li vedevo tornare con a bordo migranti sfiniti e gelati. Le emozioni che ho provato di fronte a ciò sono state l'angoscia di fronte alle condizioni dei migranti che sembravano fantasmi silenziosi e storditi, ma al contempo il sollievo di poter essere lì, accanto a tanti altri civili e militari, che come me affrontavano la notte e il vento gelido in mezzo al Mar Mediterraneo per prestare soccorso ad altri esseri umani. Purtroppo uno dei trasbordi effettuati riguardava i superstiti di un naufragio. Se non ci fossero state le nostre navi anche questi superstiti non sarebbero sopravvissuti come tante altre volte in questi ultimi mesi. Con la luce dell'alba ed un freddo che sento ancora nelle ossa, ho visto arrivare i migranti dell’ultimo trasbordo, dieci a dieci i settantasei superstiti erano finalmente in salvo a bordo della nave. Erano tutti svestiti, in magliette zuppe e mutande, tremavano e avevano gli sguardi persi totalmente nel vuoto.
La tragedia di Patience
Le ha chiesto che cosa fosse successo e lei ha risposto con una cantilena dicendo "my baby" mille volte sgranando gli occhi e cominciando a piangere perché il suo bimbo di sei mesi era affogato.
Il mio collega mi ha chiamato e mi ha portato da lei. Patience mi ha raccontato tutto, piangendo e fissando il vuoto, mettendosi le mani nei capelli e il viso nei palmi mille e mille volte, di aver perduto il suo bambino davanti ai suoi occhi, che non era riuscita a prenderlo e stendeva le braccia in avanti come se lo avesse lì davanti e lo volesse prendere dal mare come non era riuscita a fare.
Mi ha detto che era tutta colpa sua perché non avrebbe dovuto fare quel viaggio, che suo marito era in Libia e ancora non sapeva niente e non avrebbe saputo come dirglielo. Aveva ancora il latte nel seno che le provocava un forte dolore.L'ho fatta alzare da quella sedia e non sapendo come arginare quel dolore immenso l'ho abbracciata, ma lei è rimasta immobile per poi scoppiare in un pianto forte, lacerante, inconsolabile urlando il nome del piccolo. Ero allo stremo perché mi scendevano le lacrime che non le volevo far vedere e allo stesso tempo non riuscivo in alcun modo a darle sollievo. Ho pensato alle cose pratiche: ho cominciato a toglierle quegli abiti stretti e zuppi ed ho spiegato alla Dottoressa di bordo la sua situazione cosi, finalmente le hanno dato dei medicinali per il dolore al seno. Patience si è adagiata su un materasso al caldo, ma sotto shock. L'ho lasciata lì su quel materasso per correre in soccorso degli altri...