Bambini ai margini: il riscatto dal basso delle periferie
Si vedono sempre meno bambini negli spazi pubblici, ma le ragioni non sono prettamente demografiche. Il rapido processo di urbanizzazione, insieme all’originarsi e all’espandersi delle periferie, non ha tenuto conto della presenza dei bambini nel suo percorso di nascita e crescita.
È proprio nelle periferie però che risiede il numero maggiore di bambini nate, però, senza tenerne conto. Sono per lo più complessi abitativi, senza piani urbanistici ponderati, privi o con scarsi collegamenti con il centro della città.
Tutto ciò sfocia in alcune problematiche per le famiglie che vi abitano e in particolare per i più giovani. Tra queste il senso di estraneità, emarginazione e persino stigmatizzazione nei confronti dei bambini nati e cresciuti in questi luoghi periferici. Oltre ciò, queste aree, non pensate a misura di bambino, tolgono ai più piccoli la libertà di essere appunto, bambini. La crescita esponenziale del traffico motorizzato li ha di fatto allontanati dalle strade, nelle periferie così come nelle città nel loro complesso.
«È come se nessuno si rendesse conto che la strada è un diritto dei bambini, non un pericolo; in qualche modo il problema non sono i cortili, ma il fatto che la città deve essere di nuovo riempita di bambini. […] La cosa grave è che la sparizione del gioco per strada corrisponde al fatto che tutti hanno dimenticato che le città sono nate per giocarci, nel senso che le città erano fatte per farci le feste. Gran parte delle città che noi conosciamo avevano moltissimi spazi pubblici, perché la gente faceva festa per strada». Franco La Cecla a Radio Tre, Tutta la città ne parla, 22 maggio 2018.
Sloggiato dalla strada, divenuta in pochi decenni una barriera insormontabile alla sua autonomia, un bambino su quattro (il 25,5%) trova ospitalità nei cortili, non senza destare proteste e accese polemiche tra condomini insofferenti nei confronti delle naturali manifestazioni dell’infanzia.
Allontanati dalla strada e dai cortili, ai bambini non resta allora che trovare rifugio in parchi e giardini, se non altro quell’esigua minoranza (38,4%) che ha la fortuna di avere aree verdi accessibili sotto casa, con sensibili differenze regionali: si passa dal 62,1% dell’infanzia toscana al 12,6% di quella siciliana.
E tuttavia, perfino all’aperto, la gioiosa libertà dei bambini tende sempre più a essere imbrigliata in spazi accessori e protetti, mentre sono in via di estinzione le occasioni di gioco libero, autogovernato e non gestito dagli adulti.
Ci racconta Viviana Petrucci, architetta impegnata nella progettazione partecipata tramite l’associazione Cantieri comuni: «I bambini sono la prima categoria sociale ad essere stata isolata e segregata nel contesto urbano attraverso l’invenzione dei parchi giochi. In realtà sappiamo bene che i bambini per crescere hanno bisogno di muoversi liberamente e che dovremmo concepire tutta la città come un grande tavolo da gioco. I recinti rispondono al bisogno di controllo degli adulti; anche per questo sono immancabilmente piatti […] in modo da non far perdere mai ai genitori il contatto visivo con i propri figli».
«Ciò che più manca nella nostra realtà è lo spazio. Uno spazio fisico ma anche mentale» ci aveva scritto qualche anno fa Giorgia, una ragazza palermitana di 17 anni.
Ed è qui che entra in gioco il valore delle periferie. Dobbiamo cambiare il nostro punto di vista su di esse, non più vederle come luoghi marginali ma come concentrati di opportunità dove la voce dei bambini e dei ragazzi che vi abitano diventa spunto e riflessione per piani di intervento che partono dalle potenzialità e non dalla mancanza di opportunità.
Sono i bambini e i ragazzi delle periferie, insieme alle loro famiglie, la chiave per il cambiamento. La resilienza che si sviluppa in loro, data dalla loro capacità di andare incontro alle difficoltà della vita senza spezzarsi. Reinventandosi e dimostrando grandi capacità di adattamento è la loro forza per il cambiamento.
Da qui, nella pratica, emergono le cosiddette Insurgent city, processi che partono dal basso per cambiare lo stato delle cose. Movimenti spontanei, realtà associative, forme di sopravvivenza, auto-organizzazione, gestione e salvaguardia del territorio dal basso. Comitati di quartiere, orti urbani, centri sociali, reti di scuole, associazioni di genitori, giovanili, sportive, parrocchie, laboratori informali di innovazione sociale, cittadinanza attiva e resistenza al degrado.
La Commissione europea ricorda che esperienze placed based rivelano che la relazione tra povertà, marginalità, disagio sociale, illegalità e criminalità, può essere mediata e interrotta dalla capacità delle comunità di suscitare e generare senso collettivo di appartenenza, rendendo gli stessi cittadini parte attiva del meccanismo di rottura.
Un ruolo strategico nell’attivazione dei quartieri è svolto, spesso e volentieri, dai genitori con bambini, i più determinati a contrastare il degrado, se non altro per trovare un luogo dove far giocare o studiare i propri figli.
Anche noi crediamo nel cambiamento dal basso. Il Movimento dei giovani Sottosopra, i Punti Luce, così come gli Spazi Mamme sono reti territoriali che partendo dal basso arrivano in alto coinvolgendo le realtà già presenti per unire competenze e conoscenze nel riscatto di quei luoghi considerati marginali: le periferie.
Per approfondire visita il sito Le periferie dei bambini